Tra gli effetti negativi della globalizzazione si affaccia lo scontro linguistico tra culture.
E’ risaputo che in alcuni stati si fa a meno del doppiaggio, adottando l’audio originale dei film, in modo da abituare la popolazione all’Inglese sin dall’infanzia.
Naturalmente ciò incrementa le loro future possibilità di inserimento in paesi stranieri e li rende più competitivi anche in patria, aprendo nuovi orizzonti di lavoro.
Come interprete e traduttore io stesso mi dissocio da questo modello senza temere di tradirmi.
Per esperienza confermo che la costanza e un buon metodo di studio sopperiscono tranquillamente al problema, fatta eccezione per le lingue più complesse, per le quali è necessario trascorrere anni all’estero.
Oltretutto non è il cinema il miglior metodo di studio di una lingua straniera, bensì le canzoni. La musica produce molti più stimoli e risultati, anche grazie alla sua facile trasmissione ovunque in ogni momento.
Per i paesi senza cultura del doppiaggio è facile mantenere questa condotta, ma non così per una nazione come la nostra, dove il doppiaggio è una tradizione radicata fin nel sentimento comune.
Grazie alle nuove tecnologie le videocassette sono ormai superate e è possibile accedere all’audio originale con facilità, senza dover rinunciare alla versione italiana.
Gli oppositori del doppiaggio vorrebbero negare al settore il prestigio a livello internazionale, affermando che lo considera tale solo lo spettatore che ignora i doppiaggi esteri (a loro avviso assai migliori).
Basta col terrorismo di informazione! Come sempre la via di mezzo è la giusta soluzione.
Con i supporti multimediali i nostri figli possono coltivare le lingue straniere e al contempo andare fieri dei doppiatori italiani.
La culla di Cinecittà e dei film festival non può e non deve fare rinunce! Sarebbe una violenza, un crimine!
Sarebbe come pretendere di cambiare i colori di un’opera d’arte solo per renderla più accettabile a un sistema di pensiero omologato.
Hollywood e altre patrie del cinema dovrebbero invece essere grate a noi doppiatori.
Il lavoro in sala di doppiaggio ha permesso ad alcune fra le star straniere di riscuotere più successo di quanto avrebbero contrariamente potuto sperare.
In una nazione come l’Italia va tenuto conto delle innumerevoli comunità sparse in paesi e paesini dal Nord al Sud, connazionali delle realtà rurali e montane che pure godono di cinema e TV in qualche misura, ma che vivono legati alla nostra terra e non sono interessati alle lingue straniere, specie se obbligatoriamente (a molti di studiarle semplicemente non va perché non ne hanno interesse alcuno, non le vogliono e basta).
Film in versione originale sì, ma solo come seconda opzione a scelta, non a scapito della cultura di un intero paese.
La globalizzazione vorrebbe fondere ogni aspetto della vita di nazioni diverse fra loro: gusti, mentalità, lingua, economia, strategie di guerra, pensiero politico, religione, moda,urbanistica, etica e morale, abitudini alimentari, ecc…, ma ciò è contro natura!
Quante altre catastrofi nella storia delle nazioni vogliamo ignorare prima di comprendere il valore dell’unicità e della ragion d’essere di un popolo?
Unirsi sì, ma entro quei limiti che ci rendono individui unici e liberi.
Non siamo banali numeri che si susseguono, senza anima e necessità, ma individui pensanti con idee diverse.
Se si perde l’identità culturale si muore.
Questo facevano gli imperi tirannici del passato: i babilonesi imponevano ai popoli sottomessi la propria lingua e perfino l’adozione dei nomi caldei.
I modelli da imitare e non a caso più evoluti dei precedenti in tal senso sono quelli come l’antica Grecia e l’antica Roma, ad esempio, le quali tolleravano l’individualità delle culture che conquistavano e ne studiavano con rispetto perfino la filosofia di vita.
Da anni cinismo e ignoranza infliggono molte ferite alle arti della nostra Italia,ma il doppiaggio è una realtà che ci appartiene, come una seconda natura dalla quale non è possibile separarsi.
E’ quindi indispensabile difenderla e continuare a sostenerne i rappresentanti.
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